1. Introduzione.
Prima di trattare funditus il tema del conflitto di interessi nell’esercizio dei pubblici poteri è opportuno ripercorrere, sia pure brevemente, l’evoluzione storica e normativa del predetto istituto.
Come è noto, prima della legge n. 190 del 2012 si riteneva che il conflitto di interessi fosse un elemento rientrante nei doveri di ufficio del dipendente pubblico ( cfr d.p.r. n. 3 del 1957 ), così concepito anche nei contratti collettivi di lavoro e in alcune circolari, tra le quali quella del Ministro della Funzione Pubblica del 2000, con la previsione che l’attività amministrativa del dipendente pubblico svolta in conflitto di interessi dava luogo ad un procedimento disciplinare ( cfr art 78 d.p.r. n. 3 del 1957).
In realtà , il conflitto di interessi era già previsto “indirettamente” da norme precedenti al 1957 che riguardavano altri settori; si pensi al codice penale che, all’art.323, poi successivamente modificato, nel delineare l’abuso di ufficio lo descriveva come l’ attività svolta da un soggetto con dolo specifico di vantaggio o svantaggio verso un altro soggetto utilizzando in modo deviato il potere pubblico a lui affidato: “Il pubblico ufficiale che, abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni, commette, per recare ad altri un danno o per procurargli un vantaggio, qualsiasi fatto non preveduto come reato da una particolare disposizione di legge, è punito con la reclusione fino a due anni o con la multa da lire centomila a due milioni”.
Ora la norma recita: “Salvo che il fatto non costituisca un piu’ grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a se’ o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto e’ punito con la reclusione da uno a quattro anni”.
Anche l’art. 51 c.p.c. prevedeva e prevede un’ ipotesi di conflitto di interessi tra i quali se il giudice abbia un interesse personale, se egli stesso o la moglie siano parenti fino al quarto grado o siano conviventi o commensali abituali di una parte delle parti o di alcuno dei difensori o ulteriori ipotesi ivi indicate che stabiliscono l’ astensione obbligatoria del giudice nei casi indicati al 1° comma e l’astensione facoltativa nel caso di cui al 2° comma.
L’ art 51 c.p.c. è rubricato “Astensione del giudice” e recita : “Il giudice ha l’obbligo di astenersi: 1) se ha interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto; 2) se egli stesso o la moglie e’ parente fino al quarto grado o legato da vincoli di affiliazione, o e’ convivente o commensale abituale di una delle parti o di alcuno dei difensori; 3) se egli stesso o la moglie ha causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito con una delle parti o alcuno dei suoi difensori; 4) se ha dato consiglio o prestato patrocinio nella causa, o ha deposto in essa come testimone, oppure ne ha conosciuto come magistrato in altro grado del processo o come arbitro o vi ha prestato assistenza come consulente tecnico; 5) se e’ tutore, curatore ((, amministratore di sostegno)), procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti; se, inoltre, e’ amministratore o gerente di un ente, di un’associazione anche non riconosciuta, di un comitato, di una societa’ o stabilimento che ha interesse nella causa.
In ogni altro caso in cui esistono gravi ragioni di convenienza, il giudice puo’ richiedere al capo dell’ufficio l’autorizzazione ad astenersi; quando l’astensione riguarda il capo dell’ufficio, l’autorizzazione e’ chiesta al capo dell’ufficio superiore”.
Si soggiunge inoltre che, nell’impianto delineato per i soggetti privati ai sensi del d.lgs n.231 del 2001, è stato introdotto un sistema di etica del lavoro privato con la creazione di codici etici ove si dà rilievo ai comportamenti dei dipendenti che non si siano astenuti e che abbiano comunque agito in contrasto con la predetta disposizione.
La chiave di volta del sistema si ha con la legge n. 190 del 2012 la quale, all’art.1, co.41, introduce nella legge n. 241 del 1990 una nuova norma, l’art. 6-bis, che trasforma il conflitto di interessi in un vizio dell’atto amministrativo.
La norma è importante poiché si è portati a pensare che il conflitto di interessi debba essere analizzato con riferimento all’azione del soggetto che svolge un ruolo decisivo o decisionale all’interno della filiera amministrativa, cioè del soggetto il quale adotta il provvedimento finale e che incide in maniera favorevole o sfavorevole sulla sfera giuridica di colui il quale è destinatario di quell’ azione amministrativa.
Per contro, la disposizione normativa si riferisce a tutti i soggetti che appartengono alla filiera amministrativa, tra cui anche quelli che adottano atti endoprocedimentali, quali pareri o valutazioni tecniche.
Alla luce di tale statuizione, l’esistenza di un conflitto di interessi configura un vizio della funzione, non soltanto quindi una violazione di legge; conseguentemente esso è anche sintomo di eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento di potere nonché palesa un’ incompletezza dell’istruttoria amministrativa.
La predetta disposizione normativa esprime il c.d. conflitto di interessi potenziale[1],ossia la relatio per la quale il dipendente pubblico può potenzialmente adottare un provvedimento non indirizzato verso l’interesse pubblico e, quindi, come prima evidenziato, illegittimo.
Al riguardo, il Consiglio di Stato, Sezione consultiva per gli atti normativi, ha affermato, nel parere 00667/2019 del 31 gennaio 2019, che “ La nozione non si riferisce quindi a comportamenti, ma a stati della persona.”, “Il conflitto di interessi non consiste quindi in comportamenti dannosi per l’interesse funzionalizzato, ma in una condizione giuridica o di fatto dalla quale scaturisce un rischio di siffatti comportamenti, un rischio di danno. L’essere in conflitto e abusare effettivamente della propria posizione sono due aspetti distinti. Tutto ciò deriva dal principio generale dell’imparzialità dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost. e, quindi, le scelte adottate dall’organo devono essere compiute nel rispetto della regola dell’equidistanza da tutti coloro che vengano a contatto con il potere pubblico.”
“Si tratta di un interesse al medesimo tempo sostanziale e immateriale. Sostanziale, dal lato dei consociati, perché garantisce la giustizia attraverso la uguaglianza delle posizioni, la parità di trattamento, e la conseguente tutela della concorrenza. Immateriale, dal lato della P.A., perché tutela anche l’immagine imparziale del potere pubblico.”
Ne discende che “Operare in conflitto di interessi significa agire nonostante sussista una situazione del genere e, quindi, sorge l’obbligo del dipendente di informare l’Amministrazione e di astenersi.”
Al riguardo la dottrina[2] individua diverse ipotesi di conflitto di interessi:
-il conflitto di interessi attuale[3] che è presente al momento dell’azione o della decisione del soggetto tenuto al rispetto di una condotta leale, corretta, imparziale, connotata dai criteri di imparzialità e correttezza e rivolta al corretto sviluppo dell’azione amministrativa;
-il conflitto di interessi potenziale, a cui si è già accennato precedentemente, che può concretizzarsi nel caso in cui un soggetto partecipi ad una procedura selettiva, ad un concorso ove sia presente un familiare quale membro della commissione, con conseguente possibilità per il candidato di fruire di informazioni che altererebbero la parità di trattamento nei confronti degli altri partecipanti alla procedura. (Cfr art. 6 bis L. n.241 del 1990, che prevede l’obbligo di astensione anche potenziale e l’art. 53 d. lgs n.165 del 2001);
-il conflitto di interessi apparente[4] cioè quello che viene percepito dall’uomo medio: si pensi ad una selezione pubblica alla quale partecipi un candidato in rapporto di parentela entro il quarto grado con un commissario[5], per cui si potrebbe sospettare un favoritismo verso quel candidato; conseguentemente il conflitto di interessi dall’ iniziale conflitto potenziale diventa anche conflitto apparente.
Tra le varie definizioni di conflitto di interessi vi è anche quella che lo configura come la devianza dalla regola madre cioè dal comportamento corretto che è quello per cui l’esercizio del potere pubblico ha come presupposto l’ interesse diretto e immediato all’esercizio di quel potere.
Per contro l’interesse indiretto è quello che potrebbe interferire sull’interesse diretto e pubblico cioè quello personalissimo dell’agente che potrebbe operare per scopi diversi quale quelli di conseguire un interesse personale secondario ed immediato.
Ne deriva che “le situazioni di “potenziale conflitto” sono, quindi, in primo luogo, quelle che, per loro natura, pur non costituendo allo stato una delle situazioni tipizzate, siano destinate ad evolvere in un conflitto tipizzato (ad es. un fidanzamento che si risolva in un matrimonio determinante la affinità con un concorrente)”[6].
Si devono anche distinguere le situazioni di conflitto di interessi conclamate palesi e tipizzate ad es. rapporti di parentela (cfr art 7 d.p.r. n.62 del 2013 e art. 51,1° co., c.p.c.) e quelle non tipizzate cioè le gravi ragioni di convenienza (cfr art. 7 d.p.r. n.62 del 2013[7] e art 51, 2° co, c.p.c.[8]).
Inoltre il d.p.r. n.62 del 2013 usa l’espressione dipendente e non dirigente, per cui il primo conflitto di interessi si ha per ragioni personali che non consentono l’assegnazione del dipendente ad un determinato ufficio: si pensi ad esempio ad un dipendente che ha avuto rapporti di collaborazione e consulenza con un soggetto che partecipa sempre a procedimenti amministrativi e sempre presso l’ufficio ove il dipendente potrebbe operare, per cui appare sconsigliabile l’assegnazione del dipendente presso quell’ufficio. (cfr art. 4 co.6, art 5 e art 6 d.p.r. n. 62 del 2013 e cfr art. 35 bis[9] del d.lgs. n. 165 del 2001).
Si soggiunge che l’art 13 co. 3 del d.p.r. n. 62 del 2013 prevede che i dirigenti hanno obbligo di dichiarare se siano proprietari di partecipazioni azionarie o societarie o se hanno rapporti con soggetti politici o altri soggetti o parenti che possano avere interessi nell’attività dell’ufficio che dovranno dirigere al fine di garantire la massima trasparenza della Pubblica Amministrazione.
2. La dichiarazione sostitutiva sul conflitto di interessi.
Come detto precedentemente la legge n.190 del 2012 individua il conflitto di interessi non solo come violazione dell’atto amministrativo ( cfr art.6 bis L. n.241 del 1990) ma anche come rischio del fenomeno corruttivo che impone la redazione di piani nazionali anti-corruzione .
Sul punto acuta dottrina ha evidenziato che le due norme si uniscono e si combinano per cui per evitare la patologia dell’atto amministrativo lo strumento diventa quello della dichiarazione del conflitto di interessi[10].
Al riguardo è importante sottolineare che sia il Piano Nazionale Anticorruzione[11] che l’Autorità Nazionale Anticorruzione ( da ora A.N.A.C.) invitano sempre il dipendente a dichiarare sia in forma positiva che negativa se sussista un conflitto di interessi, quando si viene assegnati ad un ufficio o quando viene attribuita una singola attività amministrativa[12].
Di conseguenza l’obbligo del dipendente di astenersi scrimina la Pubblica Amministrazione.
Ovviamente, come è intuibile, il dipendente non può astenersi recta via poiché ciò determinerebbe una violazione dei doveri di ufficio e un inadempimento dei suoi doveri contrattuali.
Conseguentemente lo stesso dovrà presentare una dichiarazione ad un sovraordinato gerarchico che comunicherà al predetto se astenersi o meno dalla sua attività di ufficio.(Cfr d.p.r. 62 del 2013 art 7).
Ne deriva che l’aver il dipendente disvelato e quindi presentato la dichiarazione sul conflitto di interessi “anestetizza” l’eventuale contestazione circa la patologia del procedimento o del provvedimento poiché il comportamento della Pubblica Amministrazione diventa corretto.
Quanto precedentemente detto anche nel caso in cui il dipendente sia stato invitato dall’Amministrazione, ovviamente con adeguata motivazione, a svolgere la propria attività d’ufficio: si pensi ad esempio a motivazioni legate ad una organizzazione dell’ente che non permette la sostituzione del dipendente: in tale caso e con l’adeguata motivazione da parte dell’ Amministrazione, si rende legittima l’attività procedimentale e provvedimentale che, in assenza di dichiarazione, apparirebbe inevitabilmente illegittima.
3. Il conflitto di interessi negli appalti pubblici.
Passando all’analisi del conflitto di interessi negli appalti pubblici la normativa rimonta alla direttiva 2014/ 24/UE ove si affronta il tema del conflitto di interessi, recepito nell’art 42 del d. lgs n. 50 del 2016.
L’art 42 del d.lgs n. 50 del 2016 [13]al co.1 chiarisce come le stazioni appaltanti devono dotarsi di un sistema volto alla prevenzione della corruzione in materia di appalti poiché come già detto, il conflitto di interessi è un rischio del fenomeno corruttivo tra i più rilevanti.
Il co.2 del suddetto articolo[14] statuisce che il conflitto di interessi deve essere inteso come il comportamento di qualsiasi dipendente coinvolto nell’azione di affidamento della commessa pubblica.
Al riguardo, la norma usa l’espressione “personale” e non dirigente o responsabile unico del procedimento intendendo con tale sostantivo un qualsiasi soggetto che svolge qualsiasi attività all’interno della filiera amministrativa e che abbia una situazione di conflitto di interessi di tipo economico e finanziario o di altro genere, ampliando così le ipotesi di conflitti di interessi.
Tale situazione può essere percepita come un rischio che non consente il raggiungimento dell’interesse pubblico e che incide sulla “par condicio” dei partecipanti all’affidamento della commessa pubblica.
E’ importante evidenziare che il conflitto di interessi riguarda tutte e quattro le fasi della commessa pubblica: la programmazione, la progettazione, la scelta del contraente e la fase di esecuzione, così come indicato al co.4 del predetto articolo[15].
L’art. 42, co.2, prevede peraltro l’applicazione dell’art. 7 del d.p.r n. 62 del 2013, il quale descrive il conflitto di interessi[16] come una situazione di contrasto in cui si trova il dipendente perché l’attività amministrativa che egli svolge è connotata da interessi propri o di un proprio congiunto o di parenti fino al secondo grado o di altri soggetti indicati dalla norma.
In realtà può verificarsi che alcune stazioni appaltanti ritengano, erroneamente, di non essere “Pubbliche Amministrazioni” e conseguentemente di non dover applicare il d.p.r. n. 62 del 2013: si pensi al caso in cui soggetti privati che operano ex d lgs n.231 del 2001, già dotati di loro codici etici, reputino di non dover redigere codici di comportamento.
Conseguentemente potrebbe esservi una differenza tra quanto scritto nel codice etico e la rappresentazione dei casi di conflitto di interessi descritti nel predetto art. 7.
Tuttavia il richiamo da parte dell’art. 42 del d.lgs n.50 del 2016 all’art.7 implica che la stazione appaltante, soggetto pubblico o privato, deve rispettare le disposizioni di tale articolo, atteso che il d.p.r. n. 62 del 2013 deve essere applicato non solo dalle delle Pubbliche Amministrazioni ma anche da coloro che hanno rapporti funzionali con le stesse come i consulenti o anche gli appaltatori che provvedono alla fornitura di beni o servizi.
Ne discende che stipulare un contratto con una Pubblica Amministrazione per una consulenza fa si che anche questi soggetti, funzionalmente collegati alla Pubblica Amministrazione, debbano provvedere all’applicazione delle norme del d.p.r. n. 62 del 2013, atteso che, dal momento in cui essi operano per dare esecuzione alla pattuizione contrattuale, diventano una longa manus della Pubblica Amministrazione.
In sintesi, l’art. 42 del d.lgs. n. 50 del 2016 e l’art. 7 del d.p.r. 62 del 2013 si applicano alla stazione appaltante senza che abbia alcuna importanza per quanto sopra detto se la predetta sia pubblica o privata rectius abbia la natura giuridica di soggetto privato.
Un’altra norma che evoca il conflitto di interessi è l’art 80, co.5, lettera d) del d.lgs. n.50 del 2016 che descrive l’ipotesi per la quale il concorrente possa essere escluso da una gara : si pensi al caso in cui un operatore economico si trovi in conflitto di interessi con un dipendente della stazione appaltante e tale situazione non sia altrimenti risolvibile.
Si sottolinea inoltre che l’art. 80 del d.lgs. n.50 del 2016 individua le ipotesi di esclusione dalle gare ed evidenzia i requisiti che deve possedere il concorrente per tutta la durata dell’operazione contrattuale dell’appalto, compresa la fase dell’ esecuzione.
Conseguentemente ove l’aggiudicatario dovesse perdere i predetti requisiti, ad esempio nella fase dell’esecuzione, per il fatto che sia emerso un conflitto di interessi con la stazione appaltante, il contratto di appalto deve essere risolto.
Nell’ultima parte del co. 5, lettera d, del citato art 80 è indicata la locuzione “ situazione di conflitto di interessi […] non diversamente risolvibile” con la quale si intende che l’unico modo per risolvere il conflitto di interessi è la dichiarazione[17]di inesistenza di cause di incompatibilità, per il fatto che la sua mancanza dà luogo ad una patologia sia durante la procedura di aggiudicazione che nella fase esecutiva della commessa pubblica.
Si pensi all’ipotesi in cui un candidato venga a conoscenza della relatio di un altro candidato con uno dei dipendenti pubblici di rilievo come ad esempio con il responsabile unico del procedimento nella fase di scelta del contraente o nella fase di esecuzione: ciò può quindi comportare l’esclusione dalla gara del concorrente che si trovi in conflitto di interessi.
La norma sembra quindi imporre ai concorrenti di dichiarare se loro stessi si trovino in conflitto di interessi con un dipendente della stazione appaltante per evitare il rischio di essere esclusi dalla procedura stessa oppure, ottenuta l’aggiudicazione, vedersi risolto il contratto.
La ratio di tale diposizione normativa, si ricava dalla considerazione che nel mondo degli appalti il conflitto di interessi, ha un rilievo più accentuato perché esso riguarda interessi delicati che incidono sul mercato e sulla concorrenza degli operatori economici; per cui è necessaria una massima trasparenza dell’azione amministrativa cosi come previsto dal legislatore nazionale e da quello europeo.
Nella specifica materia del conflitto di interessi nell’affidamento di commesse pubbliche è intervenuto il Consiglio di Stato, che ha espresso il parere n.00667/2019 in ordine alle linee guida A.N.A.C. secondo cui “I principi generali della disciplina del conflitto di interessi nelle procedure ad evidenza pubblica sono contenuti nell’articolo 42 del D.lgs. n. 50/2016, il quale prevede che spetta alle stazioni appaltanti prevedere misure adeguate per contrastare le frodi e la corruzione nonché per individuare, prevenire e risolvere in modo efficace ogni ipotesi di conflitto di interesse nello svolgimento delle procedure di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni, in modo da evitare qualsiasi distorsione della concorrenza e garantire la parità di trattamento di tutti gli operatori economici (art. 42, comma 1, d.lgs. n. 50/2016), legate al fatto che sulla scelta del contraente possano incidere interessi estranei ad una corretta selezione dei concorrenti.”
In particolare, per il Consiglio di Stato il conflitto di interessi è “ come una condizione giuridica che si verifica quando, all’interno di una pubblica amministrazione, lo svolgimento di una determinata attività sia affidato ad un funzionario che ha contestualmente titolare di interessi personali o di terzi, la cui eventuale soddisfazione implichi necessariamente una riduzione del soddisfacimento dell’interesse funzionalizzato.
Operare in conflitto di interessi significa agire nonostante sussista una situazione del genere e, quindi, sorge l’obbligo del dipendente di informare l’Amministrazione e di astenersi.”
Al riguardo, anche l’A.N.A.C.[18], con la linea guida n 15 del 2019 emanata sulla scorta dei poteri anche di autorità di vigilanza ex art 213 del codice dei contratti pubblici[19], afferma che “le situazioni di conflitto di interesse non sono individuate dalla norma in modo tassativo, ma possono essere rinvenute volta per volta, in relazione alla violazione dei principi di imparzialità e buon andamento sanciti dall’articolo 97 della Costituzione, quando esistano contrasto ed incompatibilità, anche solo potenziali, fra il soggetto e le funzioni che gli vengono attribuite”.
Analogamente la dottrina[20] reputa che “Attualmente, l’indeterminatezza delle fattispecie che possono integrare situazioni di conflitto di interessi non espressamente tipizzate, non può, dunque, che essere colmata mediante un’indagine del caso concreto, volta a verificare l’imparzialità ed il buon andamento dell’azione amministrativa”.
Passando all’analisi della commissione di gara prevista dall’art.77 del codice dei contratti pubblici se ne evince che il conflitto di interessi è legato ad altri soggetti che contribuiscono a partecipare all’operazione contrattuale per la stazione appaltante, né c’è alcuna norma del codice dei contratti pubblici che stabilisca cosa devono fare i predetti soggetti.
Al riguardo, le indicazioni provengono dalle linee guida dell’ A.N.A.C. n 15 del 2019 e dal d.p.r. n. 62 del 2013 oltre che dal Piano Nazionale Anticorruzione, il quale individua la rilevata mancanza di tale norma come “anestetizzabile” con una dichiarazione resa ex d.p.r. 445 del 2000.
Viceversa per la commissione di gara vi è una norma espressa: l’art. 77 c. 6 e c. 9 del d.lgs. n. 50/2016 .
Tale articolo prevede che la commissione di gara deve essere obbligatoriamente nominata quando il criterio è l’offerta economicamente più vantaggiosa e che i componenti della commissione di gara debbano rendere una dichiarazione ex d.p.r. 445 del 2000 nel momento in cui accettano l’incarico.
La predetta dichiarazione deve riguardare i casi di incompatibilità con l’assunzione dell’ incarico, descritti nel comma 4 del predetto articolo cioè quelli di non aver svolto o di impegnarsi a non svolgere nel futuro ulteriori funzioni all’interno della medesima commissione di gara.
Il comma 6 della predetta disposizione normativa prevede che il componente della commissione di gara non deve essere stato amministratore dell’ente e che deve indicare nella dichiarazione l’assenza di sentenze di condanna per reati contro la Pubblica Amministrazione richiamandosi anche l’art. 35 bis del d. lgs n. 165 del 2001, nonché il già descritto art. 42 del d.lgs. n. 50 del 2016 .
Al riguardo la dottrina e la giurisprudenza si sono lungamente interrogate circa gli effetti sulla procedura di gara in casi di mancanza della dichiarazione.
Sul punto si sono sviluppati due orientamenti giurisprudenziali.
Per una prima tesi seguita dal Consiglio di Stato III sez. nella sentenza n 06299 del 2018 la mancanza della dichiarazione da parte di un membro della commissione configura un deficit dell’istruttoria e quindi una patologia che travolge l’intera procedura concorsuale.
Di conseguenza, ritiene la Sezione che tale vizio possa essere invocato da qualsiasi concorrente che sia stato escluso o non abbia ottenuta l’aggiudicazione con richiesta di annullamento della gara .
Per contro, secondo un’ altra tesi seguita dal Consiglio di Stato sez. V, nella sentenza n.3415 del 2017, si deve dare rilevanza al conflitto di interessi concreto ed attuale, per cui la mancata dichiarazione dà luogo ad uno stravolgimento della procedura solo nel caso in cui il conflitto è stato confermato ed è stato comprovato e comunque ha dato luogo ad un vantaggio nei confronti dell’ aggiudicatario.
Negli altri casi, ritiene la Sezione che la mancata dichiarazione configurerebbe soltanto una carenza formale, la quale non travolge la procedura di gara, superabile ex art. 21 octies, co.2, primo periodo della l. n.241 del 1990 vertendosi in tema di attività vincolata.
In sintesi nella fase patologica le conseguenze sono l’annullamento dell’aggiudicazione e dell’intera procedura e comunque dell’atto a cui ha partecipato il componente che non ha resa la dichiarazione.
Particolarmente interessante è il caso in cui l’annullamento è ottenuto da un concorrente che si trovi in una situazione di graduatoria che non gli permetterebbe per effetto del positivo giudizio di annullamento di divenire l’aggiudicatario: in questo caso non si ha il risarcimento del danno poiché il risarcimento in forma specifica è costituito dal travolgimento della procedura selettiva con una probabile riedizione dalla stessa.
Diverso è il caso in cui la sentenza di annullamento da parte del giudice amministrativo interviene quando il contratto è stato stipulato e non è possibile la sostituzione nel contratto da parte del secondo in graduatoria e quindi in tal caso si dà luogo al risarcimento del danno.
Ovviamente in tale ultima ipotesi vi sarà un danno erariale imputabile al commissario ma anche ai soggetti che avrebbero dovuto verificare la dichiarazione ma in tale ultimo caso solo se il conflitto di interesse fosse noto e fosse stato oggettivamente possibile accorgersene in sede di verifica.
In tale caso potrebbero rispondere, per responsabilità amministrativa per danno erariale davanti alla Corte dei Conti e per culpa in vigilando, il responsabile unico del procedimento e il dirigente che ha adottato il provvedimento annullato e che ha dato luogo al risarcimento del danno.
Nell’ulteriore ipotesi di impossibilità oggettiva di venire a conoscenza del conflitto di interesse, sarà responsabile il solo componente della commissione che abbia reso una dichiarazione mendace anche penalmente ex d.p.r. n 445 del 2000.
Dott. Livio Carbone
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI E NOTE:
[1] LUBRANO E., Il conflitto di interessi nell’esercizio dell’attività amministrativa, Torino, Giappichelli, 2008, introduzione, afferma che il conflitto di interessi “potenziale” (… si realizza laddove l’interesse estraneo entri semplicemente in ballo e costituisca una potenziale minaccia per la legittimità dell’azione amministrativa);
[2] LUBRANO E., Il conflitto di interessi nell’esercizio dell’attività amministrativa, cit..
[3] LUBRANO E., Il conflitto di interessi nell’esercizio dell’attività amministrativa, cit., secondo cui il conflitto di interessi “attuale” (… si realizza laddove l’interesse alieno condizioni effettivamente l’agire amministrativo);
[4] LUBRANO E., Il conflitto di interessi nell’esercizio dell’attività amministrativa, cit., secondo cui il conflitto di interessi “apparente” (… si realizza laddove non vi sia alcun interesse alieno effettivo, ma questo possa apparire come esistente agli occhi della collettività).
[5] Al quale dovrebbe applicarsi, per il principio di analogia, l’art 51 c.p.c.;
[6] Consiglio di Stato, Sezione Consultiva per gli Atti Normativi parere 00667/2019;
[7] il d.p.r. n.62 del 2013 si occupa di due tipi di conflitti di interessi, il conflitto di interessi come assegnazione ad un ufficio e il conflitto di interessi con la singola attività amministrativa che il funzionario svolge.
[8] Consiglio di Stato, cit., 00667/2019 “La struttura delle due norme è, infatti, identica e complementare. Nel primo comma l’art. 51, con parole diverse, ripercorre le ipotesi di cui all’art. 7, primo periodo, nel secondo comma si riferisce esattamente alle “gravi ragioni di convenienza” come il penultimo comma del citato art. 7.”
[9] La norma prevede un impedimento verso chi sia stato condannato per reati contro la Pubblica Amministrazione., all’assegnazione ad un ufficio che gestisce risorse economiche .
[10] dichiarazione resa ex d.p.r. 445 del 2000
[11] ai sensi dell’art. 1, comma 2 lett. b) della legge n. 190/2012.
[12] in realtà da un punto di vista giudiziale essa rileva solo nel momento in cui si è concretizzato il conflitto e solo in quel caso si verifica se vi sia stata la dichiarazione da parte del dipendente pubblico che ha posto in essere l’attività.
[13] d.lgs n.50 del 2016 art.42 co.1: Le stazioni appaltanti prevedono misure adeguate per contrastare le frodi e la corruzione nonche’ per individuare, prevenire e risolvere in modo efficace ogni ipotesi di conflitto di interesse nello svolgimento delle procedure di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni, in modo da evitare qualsiasi distorsione della concorrenza e garantire la parita’ di trattamento di tutti gli operatori economici.
[14] d.lgs n.50 del 2016 art.42 co.2: Si ha conflitto d’interesse quando il personale di una stazione appaltante o di un prestatore di servizi che, anche per conto della stazione appaltante, interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni o puo’ influenzarne, in qualsiasi modo, il risultato, ha, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che puo’ essere percepito come una minaccia alla sua imparzialita’ e indipendenza nel contesto della procedura di appalto o di concessione. In particolare, costituiscono situazione di conflitto di interesse quelle che determinano l’obbligo di astensione previste dall’articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, 62.
[15] d.lgs n.50 del 2016 art.42 co.4: Le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 valgono anche per la fase di esecuzione dei contratti pubblici.
[16] d.p.r n. 62 del 2013 art. 7:1. Il dipendente si astiene dal partecipare all’adozione di decisioni o ad attivita’ che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi, ovvero di soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, societa’ o stabilimenti di cui sia amministratore o gerente o dirigente. Il dipendente si astiene in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza. Sull’astensione decide il responsabile dell’ufficio di appartenenza.
[17] dichiarazione resa ex d.p.r. n.445 del 2000.
[18]LALLI A.- MORESCHINI A.- RICCI M., l’ANAC e la disciplina dei conflitti di interessi, Edizioni Scientifiche Italiane, gli autori affermano che in “ Tali ipotesi di conflitto di interessi possono distinguersi in due categorie: da un lato, la categoria del c.d. «conflitto formale o normato», che ricomprende i casi che trovano espressamente un riferimento in una norma di legge e in cui il legislatore ha previsto una potenziale situazione di interferenza tale da influenzare l’esercizio indipendente, imparziale ed obiettivo della funzione rivestita; dall’altro, la categoria del c.d. «conflitto materiale/strutturale o non normato», in cui rientrano ipotesi che, invece, non trovano espressamente riferimento in una norma di legge, ma che l’Autorità ritiene pregiudichino l’esercizio indipendente, imparziale ed obiettivo della funzione rivestita;” p.35.
[19] d.lgs. n. 50/2016.
[20] LALLI A.- MORESCHINI A.- RICCI M., l’ANAC e la disciplina dei conflitti di interessi, cit., p.84 e ss.
Livio Carbone è nato a Napoli nel 1971 ma vive, lavora e studia a Roma.
È laureato in Giurisprudenza, in Scienze Politiche, In Scienze della Sicurezza, In Scienza ella Sicurezza Interna ed Esterna ed in Scienze Internazionali e Diplomatiche.
È dottore di ricerca in “Geo-storia e Geo-economia nelle regioni di confine”.
È dottore di ricerca in “Scienze forensi”.
Ha conseguito il Master di II livello di Diritto e Processo Tributario.
È abilitato all’esercizio della professione forense.
Autore di plurime pubblicazioni di diritto amministrativo, diritto penale, diritto tributario e su questioni di geopolitica.
È stato relatore di convegni, anche internazionali.
È ottimo conoscitore delle seguenti lingue straniere: Inglese, Tedesca, Francese, Spagnola, Norvegese, Serbo-Croata, Araba.
È cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.
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